mercoledì 8 marzo 2017

Un manoscritto inedito di Dante Alighieri. Parte prima.

Sono entrato in possesso di un manoscritto inedito di Dante Alighieri.
In realtà potrebbe anche trattarsi di un apocrifo: gli esperti a cui l'ho sottoposto non mi hanno dato ancora una risposta certa. In ogni caso, si tratta di un componimento di 117 versi che costituisce la continuazione del canto XXIII dell'Inferno, il canto degli ipocriti, e che nelle intenzioni dell'autore doveva costituire probabilmente un canto a sé.
Al momento non intendo rivelare le circostanze grazie alle quali il manoscritto è pervenuto nelle mie mani. Voglio però condividerne il contenuto. Per questo motivo, pubblico oggi i primi 66 versi del componimento, mentre tra qualche giorno pubblicherò i 51 versi successivi.
In seguito, se ci riuscirò, pubblicherò un commento.

Per comprendere le vicende narrate, bisogna ripartire dal canto XXIII dell'inferno (di cui ripropongo qui gli ultimi 10 versi). Ci troviamo nella bolgia degli ipocriti, che Dante e Virgilio raggiungono dopo una rocambolesca fuga dalla bolgia precedente, sfuggendo per un pelo ai diavoli che li inseguivano. Qui i due poeti incontrano i frati gaudenti Loderingo degli Andalò e Catalano dei Malavolti che, al pari degli altri dannati di questa bolgia, sono condannati a camminare sotto il peso di cappe dorate esternamente, ma foderate di piombo all'interno. Virgilio chiede ai frati quale sia il percorso da seguire per continuare il viaggio; si scopre così che uno dei diavoli della bolgia precedente gli aveva dato indicazioni false, e Virgilio incassa lo sfottò di Catalano e si allontana irato.
Da questo punto ha inizio la vicenda narrata nel manoscritto.


***


Inferno, Canto XXIII, versi 139-148

          Lo duca stette un poco a testa china;
          poi disse: «Mal contava la bisogna
141    colui che i peccator di qua uncina».

          E 'l frate: «Io udi' già dire a Bologna
          del diavol vizi assai, tra' quali udi'
144    ch'elli è bugiardo, e padre di menzogna».

          Appresso il duca a gran passi sen gi,
          turbato un poco d'ira nel sembiante;
147    ond'io dalli 'ncarcati mi parti'

          dietro alle poste delle care piante.


Manoscritto inedito, versi 149-214

          Ma tosto ch'ebbi fatto il primo passo
150    il piede manco non si fece avante

          ch'io udi' una voce che mi fe' di sasso.
          Lo duca mio si volse allora a retro
153    e disse: «Vedi tu colà quel lasso

          appena giunto in questo luogo tetro
          come s'agita e strepita e singhiozza
156    e vuol moversi avanti e a lato e 'n dietro

          e invece si ristà, sì come cozza
          l'olla sul carro tra le sue sorelle.
159    Volgiti e la sua foga capitozza

          e le parole tue sian giuste e belle
          ché tu non sai, mentr'io già mi scorrubbio.
162    Fa ch'egli ti disveli sue novelle

          e ti disgravi tosto d'ogni dubbio».
          Così mi volsi, e vidi un novo manto
165    candido come fiore di marrubbio

          o di sambuco o primula o d'acanto
          ma nero dentro e lercio più che pece,
168    ed apparia alla foggia gravo tanto

          ch'a un suo passo altrui ne facea dece.
          Tanto rimasi allora sbigottito
171    nel vedere cotal del vôto in vece

          che l'intelletto mio ne fu affiochito
          in quello spirto che membra governa
174    perch'io ristetti e più non mossi dito.

          Ma l'un de' due di quella nova terna
          «Non ti crucciare più» disse «o Gualtiero,
177    non ti dolere della tua lacerna,

          ed anzi, come devi, vanne fiero,
          ch'essa è cotanto nova e bella e bianca
180    che ti fa di noi tutti condottiero!».

          Allora verso noi quell'alma stanca
          l'occhio menò, e 'l strinse e lo fe' acuto,
183    s'accorse di mia carne, e ch'era franca,

          e mosse la sua voce e disse: «Aiuto!».
          Qual è quei che dal sonno suo si desta
186    per nova voce, e sentesi sperduto

          che sua permutazione fu sì lesta
          sì ch'egli è già nel mondo e in quello ancora
189    e non sa verità s'è quella o questa;

          ma po' si riconforta in poco d'ora
          che omai dalla menzogna 'l ver discerne.
192    Tal divenn'io a quella voce allora;

          ma pur turbato, ch'a le mie lucerne
          quel ch'era sogno ratto apparve vero.
195    «O tu che le tue bianche vesti etterne

          movendo vai costì per l'aere nero»
          i' dissi lui allor, «s'a le tue spalle
198    il novo carco esser possa leggero

          mentre che vai per l'affollato calle
          de l'ipocriti tristi, non ti spiaccia
201    dirne che se', e come in questa valle

          venuto sei per indossar guarnaccia».
          Allora torse li occhi quel dannato
204    e nel cappuccio sprofondò la faccia;

          poi disse piano: «Chi m'abbia mandato
          in questo luogo desolato e scuro
207    io non lo so, ma certo si è sbagliato,

          c'è di certo un errore, son sicuro!
          Perché mi trovo vivo in questo inferno
210    non riesco a immaginarlo, te lo giuro:

          amo il prossimo mio d'amor paterno,
          ché padre sono, e mai diedi molestia
213    a nessun uomo, e lo sa il Padreterno...»

          Ma il duca mio gridò: «Silenzio, bestia!».







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