domenica 22 ottobre 2017

Oi sepolcroi, II

Lamento di Paracùlogo Marpiònide a Eunèbete di Chiaràtos.
II, vv. 67-131

Ove il Marpiònide ricorda l'amata moglie e il di lei padre.

***

«Tu vuoi ch'io rinnovelli quel dolore»
rispose Paracùlogo dolente
«ch'a lungo m'ha straziato il core e il resto,
quel male ch'io vorrei dimenticare
vuoi ch'adesso ti renda manifesto...
Quanto dolce sarebbe quel silenzio
che ad Arpocrate è caro, ed a me pure!
Ma cedere io debbo alla promessa,
ch'io feci nell'offrirti le mie cure,
di disvelarti i casi della vita...
e allora, orsù, facciamola finita:
or ti racconterò dei casi miei,
fintanto che sua luce il sole irradia
su questo sacro colle dell'Arcadia».
Qui si interruppe mesto il precettore
mentre un sospiro gli scassava il casso;
poi bevve lentamente un altro sorso
ed al triste racconto diede corso.
«Questa modesta lapide nasconde
le mai troppo rimpiante e care spoglie
che furono l'effigie di mia moglie.
Innanzi tempo la pretese l'orco,
poi che le Parche diedero sentenza
ch'ella era già vissuta a sufficienza.
Io, dall'infausto giorno di sua morte
- infausto specie a lei, poi che i suoi occhi,
fino a quel giorno a vigilare intenti
sui doni che Fortuna le avea dato,
furono agli ori suoi di colpo spenti
ed alle case e agl'orti ed agli armenti -
ogni primo del mese qui mi reco
ed omaggio la santa sua memoria,
che Giove Sempiterno l'abbia in gloria!
Cara alle dive Erinni, il nome suo
era Laskassia Pàllade, semenza
del prode Eurompimèntideco Ionico,
retore della scuola dei prolissi;
quella stessa da cui tu pure vieni
e che tanti oratori al mondo ha dato,
parchi d'idee ma prodighi di fiato.
Era costui campione di quell'arte
non solo in patria - dove ai miti Ioni
avea da tempo ormai rotto i cordoni
di loro borse, ché per non sentirlo
con oro e doni presero a blandirlo -
ma agli Eoli era noto parimenti
ed agli Achei ed alla stirpe dorica
per la fluente e stolida retorica.
Così tra questi popoli viaggiava
ed impartiva le sue reprimende;
ma non sostava a lungo, e le sue tende
d'albe vedevan giusto la seconda,
raramente la terza e mai la quarta:
prodiga Atene lo inviava a Sparta
perché godesse delle sue sentenze,
e poco dopo Sparta generosa
lo rimandava indietro, oppure a Tebe...
e cittadini e schiavi, e ricchi e plebe,
ognuno gli facea gentile omaggio
di pezzi d'oro e gli pagava il viaggio.
Così passava in Attica, in Beozia,
ed in Laconia, Argolide ed Epiro...
e insomma: se ne stava sempre in giro,
e grazie a questa sua perenne corsa
accresceva la fama e anche la borsa».



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