domenica 10 dicembre 2017

Oi sepolcroi, IX

Lamento di Paracùlogo Marpiònide a Eunèbete di Chiaràtos.
IX, vv. 471-539

Ove si corre pericolo, si corre incontro al destino, si corre e basta.  


***

Ahi quanto, a dir quant'era cosa dura,
alta dal petto mi fuggì una voce!
Mai s'era udita simile in natura
e mai null'altra sarà tanto atroce
se l'eco di quel verso ancor risuona
dal sacro Olimpo fino all'Elicona!
Laskassia, ch'era fino a quel momento
rapita dall'itonio incantamento,
si scosse immantinente a quel romore,
di me s'avvide e d'ascoltar cessò
le querule civette sul comò;
poi rapida discese giù dal letto
urlando "non mi scappi, maledetto!"
Io, che d'istinto verso lei mi volsi,
m'avvidi di sua rabbia, e ch'era piena,
perch'io ratto pregai: "Aita, Atena,
ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi!"
La dea, che azzurri gli occhi in giro muove,
mi s'appressò e "Marpiònide" mi disse
"non fa per te di rimanerti ancora,
ché se t'acchiappa la furiosa Aletto
in men che non si dica ti divora!
Or dunque sorgi e lesto vai sul tetto,
dove non giungerà l'irata Erinni
ché alla sua stazza è troppo un tal periglio.
Accetta dunque adesso il mio consiglio,
e appena conquistata avrai la vetta
siedi sul colmo e speranzoso aspetta,
ch'io ti raggiungerò con le mie ancelle
e con formule arcane e con magia
ti farò diventare come quelle
e avrai le ali per fuggire via!
Or più non indugiare: corri lesto,
ch'io vado, ma - stai certo - torno presto".
Rapida s'involò la diva alata,
forse lei pure un po' preoccupata
dall'imminente arrivo della furia
che pari ad un leone di montagna
mostrava chiara all'occhio la goduria
d'essere a un passo o due dal suo disio
e urlavami da presso "ormai sei mio!"
Filippide non corse più veloce
quell'assolato giorno a Maratona
di quanto io feci allora in quel frangente;
e s'egli alfine morse, io pur gemevo,
e non soltanto per il gran periglio
d'essa che dietro urlava "ora ti piglio!",
ma pur per l'altra, che m'avea predetto
di far di me un pennuto sopra il tetto;
e tale prospettiva, onestamente,
non mi piaceva troppo... anzi, per niente!
Ma che potevo fare? In quel momento
non potevo che andare in tutta fretta
incontro al mio destino da civetta!
Giunsi infine sul tetto, dove almeno
pensavo di trovar sicuro porto
da quella furia che mi volea morto,
giacché la dea m'avea pronosticato
che non avrebbe osato l'arduo passo
con la zavorra grave del suo grasso.
Ora: o che la dea s'era sbagliata;
o che la cosa era premeditata;
io questo non lo so, ma so soltanto
che in un istante me la vidi accanto,
inferocita al pari e più d'un'orsa!
Ratto ripresi la mia folle corsa
lungo le falde, e lei mi stava dietro...
e credimi, non so come facesse
a correr sulle tegole sconnesse!



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