E questo arredo, che da tanta parte
Dell'adiacente sala il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminate
Stanze di là da quella, e sovrumani
Scaffali, e pesantissimi lïbri
Io nel pensier mi pingo; ove non poco
Il cor mi si spaura. E come il tempo
Vedo passar tra queste stanze, io quello
Infinito lavoro a questo lasso
Vo comparando: e mi sovvien l'armadio,
E le molte poltrone, e la possente
Vetrina, e i pacchi miei. Così tra questa
Immensità s'affoga il pensier mio:
E il boccheggiar m'è amaro in questo mare.
***
Giacomo Leopardi, L'infinito
Sempre caro mi fu quest'ermo colle, / E
questa siepe, che da tanta parte / Dell'ultimo orizzonte il guardo
esclude. / Ma sedendo e mirando, interminati / Spazi di là da
quella, e sovrumani / Silenzi, e profondissima quïete / Io nel
pensier mi fingo, ove per poco / Il cor non si spaura. E come il
vento / Odo stormir tra queste piante, io quello / Infinito silenzio
a questa voce / Vo comparando: e mi sovvien l'eterno, / E le morte
stagioni, e la presente / E viva, e il suon di lei. Così tra questa
/ Immensità s'annega il pensier mio: / E il naufragar m'è dolce in
questo mare.
...e che il buon Giacomo mi perdoni!
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