domenica 7 gennaio 2018

Oi sepolcroi, XI

Lamento di Paracùlogo Marpiònide a Eunèbete di Chiaràtos.
XI, vv. 599-686

Ove un uccello sacro si palesa.  


***

«Mentre consideravo l'accaduto
dal trave sopra cui stavo seduto,
mi svolazzò d'intorno una civetta;
al ch'io, temendo ch'ella fosse il nume
giunto per darmi e becco e penne e piume,
veloce la pregai: "Atena, aspetta,
allontana da me questa disdetta,
ch'io posso conservare la mia imago
essendo ormai defunta la virago!".
La strigide, sentendo il tono grave,
s'appollaiò pur essa sulla trave
fissandomi con gli occhi suoi lucenti;
e mentr'io mi torcevo tra i tormenti
"Tranquillo," mi rispose "io non son quella,
io della diva son l'umile ancella.
Pur già tu mi vedesti, or non è tanto,
su quel comò, con le sorelle accanto.
Mi manda a te la dea dal sommo ingegno
per dirti giustappunto proprio quello,
ch'ella non può mutarti in un uccello
giacché con sé la volle il Dio tonante
con gli altri dei celesti ad un convegno".
Qui si tacque un istante l'animale,
gli occhi mosse d'intorno un po' esitante
e, ascosto il picciol capo sotto l'ale,
aggiunse, con la voce bassa e scaltra:
"La verità, mortale, è invece un'altra:
più che celeste il suo convegno è rosa,
ch'ella oggidì ha un incontro assai galante
con un ginnasta giovane ed aitante!
Non che ci possa fare chissà cosa,
giusto un bacetto, al più una pomiciata...
ch'ella deve restarsene illibata
e dunque sarà sterile il consesso!
Ma lei quello che può lo fa lo stesso,
quell'infelice, e almeno si diletta
a fare un pochettino la civetta".
Risollevò la testa l'uccellino
e mentre mi faceva l'occhiolino
ricominciò a parlare a voce piena:
"Dunque, mortale, più non darti pena
ché non ti tocca di mutar sembiante;
ed anzi, non mostrarti titubante
e ringrazia a dover la diva Atena".
Udendo il sacro uccel darmi notizia
di quell'inaspettata scappatoia
fu tale dentro al core la letizia
ch'io quasi feci un salto dalla gioia...
ma poi, considerati i precedenti,
restai seduto e m'atteggiai altrimenti.
"O messaggera di novelle liete,
per ringraziarti come si compete
rivelami" le dissi "il nome tuo
e quello delle alate tue sorelle
ch'io voglio ringraziare pure quelle
ed osannare sempre nei miei carmi
con voi la dea che un dì volle ascoltarmi".
Rispuosemi la strigide parlante:
"Grazia è la primogenita sorella
e la seconda chiamasi Graziella,
ed io che son la terza, e a te davante
ormai da un pezzo strepito e svolazzo,
sono detta da tutti Grazie Tante.
V'è pure chi mi chiama in altro modo...
però, suvvia, non allunghiamo il brodo!"
"Grazie" le dissi allora "Grazie Tante;
e ringraziami pure la dea madre,
e le sorelle, e tutto il parentato
pel grande aiuto che m'avete dato!"
Veloce s'involò la pia civetta
mentr'io, rimasto solo sulla vetta,
mossi lo sguardo a quanto avea d'intorno.
Volgeva omai alla fine il mesto giorno;
rapida si fuggìa la diva Emera,
mentre tra i primi veli della sera
apparivano già le prime stelle
guidate dalle esperidi sorelle
e il mondo rispondeva al lor passaggio
con fiaccole lucenti e con lanterne
quasi a voler sfidar le luci eterne
nel ripeterne in terra il paesaggio.
Io, picciol punto perso nel creato,
dal trave su cui stavo appollaiato
guardavo e campi e boschi e vigne e prati
e villici e pastori indaffarati
a ricondurre mandrie e greggi e armenti...
e pur se ancora un poco frastornato
compresi quanto avevo ereditato».



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