domenica 17 dicembre 2017

Oi sepolcroi, X

Lamento di Paracùlogo Marpiònide a Eunèbete di Chiaràtos.
X, vv. 540-598

Ove si consuma la tragedia e si consuma il vino.  


***

Correva appresso a me, la maledetta,
mentr'io gridavo "O dea, fammi civetta!
O pur beccaccia, o pappafico, o tordo..."
Ma Atena non rispose. Io, trafelato,
percorsi tutto il tetto e giunsi al bordo
e in quell'istante estremo, disperato,
pensai veloce se buttarmi sotto
e uscirne morto o tutto quanto rotto,
o se invece aspettar la mia consorte
e uscirne rotto oppur pestato a morte.
"Se mi rannicchio e il cranio resta illeso,
forse non muoio e resto solo offeso..."
Così pensai, e arreso al mio destino
io mi disposi a sopportar l'ingiuria
dei colpi di Laskassia e la sua furia.
Ed ella alfine giunse, e appena vide
ch'io non avea nessuna via di scampo
frenò improvvisamente la sua foia,
rise felice e con negli occhi un lampo
batté le mani e fe' un salto di gioia...
ma le si spense agli occhi il luccichio
udendo l'improvviso scricchiolio
del tetto che cedea sotto il suo peso.
Era una bella e solida struttura,
ma il salto fu una prova troppo dura!
S'udì di colpo un fragoroso botto
e la meschina rovinò di sotto:
e poco ci mancò che per quel crollo
anch'io cadessi e mi rompessi il collo!»
Eunèbete, che fino a quel momento
avea seguito concentrato e attento
il tragico racconto del suo aio,
udendo di quel tonfo ebbe spavento
e sobbalzò, visibilmente scosso,
con gli occhi luccicanti e il viso rosso.
Poi, preda del suo solito desiro,
provò ad alzarsi e profferir parola,
ma sopraggiunse forte un capogiro
che gli fermò la voce nella gola,
e anche le gambe opposero un rifiuto;
così che ratto ritornò seduto.
"Ecco quello che avvien per avventura"
si disse "se ti vince la paura!"
E in tale errore non pensò il meschino
di dar la colpa invece al troppo vino
che, preso dal racconto, avea libato:
ch'ei non potea vedere il suo incarnato
da roseo tramutato in paonazzo.
Così, per superare l'imbarazzo
e asconder dei ginocchi quel tremuoto
prima di darlo all'aio suo a vedere,
cercò un po' di coraggio nel bicchiere;
e si stupì di ritrovarlo vuoto,
avendolo riempito già sei volte...
ma non per questo il giovine ristette:
"sei libagioni, invero, non son molte:
abbiamo fatto sei, facciamo sette!"
E intanto ch'ei teneva questo conto,
riprese Paracùlogo il racconto.



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