domenica 5 aprile 2015

La pioggia in autostrada

Taci. Mi distoglie
il pianto e non odo
parole che dice
Isoradio, ma odo
parole tue sole
che querule tornano a storie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nove e tre quarti.
Piove su le escavatrici
nei cantieri sparsi,
piove su i Tir
scontrosi ed erti,
su gli inesperti
pulmini,
su le vetture adiacenti
dai fari smorti,
su i segnali storti
dei veicoli lenti,
piove su i nostri volti
stravolti,
piove su le nostre maglie
intrise,
e su i rivestimenti
leggieri
di questa cabriolet
che ormai non si chiude
(che iella!),
su la mia manovella
che ieri
tu usasti, che oggi perdesti,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
ne la saturata
vettura
ferma in una coda che dura
da un'ora e non varia,
secondo le info
che lancia Isoradio.
Ascolta, risponde
al pianto il clacson
dei camionisti
che il piano autostradale
osservano
dal lor finestrino.
E il Pino
fa un suono, e il Mirko
altro suono, e il Ginetto
altro ancora, stornelli
diversi
sotto le instancabili dita.
E immersi
noi siam nello spirto
sfottente
di quei camionisti fetenti;
e io mi volto lento
sotto la pioggia,
vinco la voglia
- e non so come -
d'usar le tue chiome,
asciugar le finestre,
e in questo dramma palustre
mi do' un nome:
coglione!

Ascolta, ascolta. D'accordo
che a noi non ci cale
manco un poco,
ma sordo
non sono, e al tuo pianto
che cresce
un coro ora si mesce,
un coro
che di lassù sale,
dall'alte cabine remote,
e che poco a poco
s'aumenta ed emerge.
Son solo due note
ma piene, e son pregne
di sillabe brevi ed indegne.
Poi s'ode la voce del Mirko
che s'alza sulla baraonda,
urlare
traverso la pioggia
che immonda
continua e non varia:
«si scorge là in fondo
la fila men folta!».
Ascolta.
La truppa gregaria
è muta; ma un figlio
di qualche lontana
puttana
ancora canticchia nell'ombra,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove sul tuo cipiglio,
Ermione.

Piove sul tuo cipiglio tetro,
ed ancor tu parli,
ma, per piacere: non farlo,
e invece fatti silente
come pesce, com'esca
e godi la pioggia ch'è fresca,
fluente,
come una rana che adesca
la blatta
tra schiere di micrococchi,
come bacilli tra l'erbe,
piccoli come nucleoli,
che tanto ormai a cosa serve...
Che tanto ormai è fatta:
immersi siam, disciolti
ne l'acqua di palude,
ci bagna i malleoli,
ci arriva ai ginocchi...
se si ferma, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
stravolti,
piove su le nostre maglie
intrise,
e su i rivestimenti
leggieri,
su l'aperta capote
che l'auto schiude,
(che iella!),
su la mia manovella
che ieri
tu usasti, che oggi perdesti,
o Ermione.



2 commenti:

  1. Ma l'Ermione, della manovella, che ne fece, ieri, che ne fece; eh?!?

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    1. Non si sa, la poesia non lo dice.
      Ma in fondo, uno dei compiti della poesia è proprio questo: suggerire, evocare, lasciare spazio all'immaginazione...
      L'unico dato certo è che Ermione, qualunque uso ne abbia fatto, non l'ha poi rimessa al suo posto. L'ha dimenticata? L'ha perduta? L'ha nascosta? Anche in questo caso, la mente spazia...


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